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I musei del borgo di Sovana conservano ancora oggi i cenni di secoli di storia. Tre strade. La via di Mezzo, la via di Sopra, la via di Sotto. Una sorprendente e fragile pavimentazione in cotto e mattoncini a spina di pesce, voluta ai tempi del Granducato mediceo. Ai due estremi di Sovana, gli edifici dei due poteri: i ruderi del castello degli Aldobrandeschi a oriente, e il bellissimo duomo a chiudere il pianoro verso occidente.
La piazzetta principale è una scenografia da Medioevo di gloria e potenza! Guardatevi attorno ruotando su voi stessi: ecco l’antichissima chiesa di San Mamiliano, evangelizzatore della Maremma; poi il seicentesco palazzo Bourbon del Monte e la chiesa di Santa Maria che custodisce un ciborio preromanico, unico in Italia. Chiude la scena la curiosa palazzina dell’Archivio (un tempo palazzo Comunale) con il suo orologio fermo, da almeno due secoli, su mezzogiorno meno cinque.
Ecco la loggia del Capitano con il suo grande stemma mediceo ed infine, il palazzo Pretorio con i nove stemmi dei capitani del popolo che hanno governato Sovana. Questa piazzetta ha la superbia di una quinta teatrale.
Musei minuscoli. Una sola, straordinaria stanza per ciascuno. Pochi, pochissimi oggetti. Ma reperti di grande bellezza e con una storia eccezionale alle spalle. La chiesa di San Mamiliano e la sala delle udienze di palazzo Pretorio sono state trasformate in musei che, attraverso la piazza di Sovana, si guardano l’un con l’altro. Gli archeologi sono stati pignoli come contabili: sono 498 le monete d’oro zecchino, i solidi del Medioevo più antico, ritrovati, in un giorno di novembre del 2004, sotto il pavimento della chiesa di San Mamiliano. Un autentico tesoro che ha contribuito alla grandezza dei musei del borgo di Sovana.
Questa storia va raccontata: generazioni di contadini sovanesi, per secoli, hanno sognato e cercato una perduta pentola d’oro. ‘Si sapeva’ che gli antichi abitanti della città, nei tempi bui del V secolo, avevano nascosto un piccolo tesoro per sottrarlo a banditi e razziatori. Non era mai stato ritrovato. Se ne era perso memoria. Fiorivano leggende su leggende. I vecchi raccontavano delle loro vane ricerche ai nipoti. Naturalmente questo tesoro era sotto gli occhi di tutti. Agli inizi del 2000, l’antica chiesa di San Mamiliano era un rudere. Il tetto era crollato, erano state portate via tegole e mattoni. Fino al 1960, qui razzolavano le galline della famiglia Busatti. Era un pollaio, la più antica basilica di Sovana. Nel 2004, finalmente, si trovarono i denari necessari a restaurarla. Le vanghe degli operai non faticarono poi molto a trovare, sotto il pavimento sbriciolato della chiesa, i sarcofagi di un cimitero dimenticato, le rovine di un edificio termale romano e, in un angolo, una solitaria olla di terracotta alta dodici centimetri. Dentro luccicavano ancora i solidi, il tesoro di Sovana. Due chili e duecento grammi di oro trasformati in monete nelle zecche di Costantinopoli, Ravenna, Milano, Roma, Arles e Salonicco.
Oggi, i solidi sono tornati nel loro antico nascondiglio e San Mamiliano protegge nuovamente il prezioso tesoro dei sovanesi. Qui si possono osservare anche gli oggetti rinvenuti nella stipe votiva ritrovata all’ingresso della via cava detta ‘il Cavone’: una ventina di reperti in ceramica che raffigurano parti del corpo umano, fantocci maschili e femminili, uteri di coccio. Gli Etruschi chiedevano alle divinità del tufo grazia per le loro malattie.
Sul lato opposto della piazzetta, entriamo nella sala delle Udienze di palazzo Pretorio. Piano terra. Vi è il centro di informazioni del Parco delle Città del Tufo. In un angolo della sala vi è la ricostruzione del frontone del tempio della tomba dell’Ildebranda.
Si nota, inoltre, una vetrina dove risplendono vasi, piatti e calici in bronzo dalle tonalità verdastre. Furono trovati in una piccola camera sepolcrale, quasi invisibile sotto l’imponente podio della tomba stessa. Era l’unico sepolcro sempre sfuggito a tombaroli e saccheggiatori. L’attenzione di chi entra in questa sala è attratta da due piccole statue. Un uomo e una donna. Belli, nudi e sensuali. Con le mani legate dietro la schiena. Sono stati modellati in piombo, metallo sacro alle divinità dei morti. Archeologi ed epigrafisti sono sempre stati incuriositi da queste due statuette rinvenute, nel 1908, da un contadino in una tomba della necropoli sovanese. È una strana storia. Forse una storia maledetta. Gli archeologi hanno datato al III secolo avanti Cristo le due statue. La tomba era del VI secolo avanti Cristo. Qualcuno si era, dunque, introdotto in un sepolcro antico di tre secoli e vi aveva depositato le due figure in piombo. Era una maledizione? Un malocchio? La condanna spietata di un amore proibito? Gli archeologi abbandonano le regole dell’accademia e sono sicuri che così sia stato.
Una storia da raccontare. Sappiamo, da un’incisione, i nomi dell’uomo e della donna. Si chiamavano Zertur e Velia.
Hotel della Fortezza
Piazza Cairoli 9
58010 Sorano (GR)